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Una delle prime testimonianze precise della presenza di albicocchi in Campania è dovuta a Gian Battista Della Porta, scienzato napoletano, che, nel 1583, nell'opera "Suae Villae Pomarium" distingue due tipi di albicocche: bericocche e crisomele, più pregiate. Da questo antico termine deriverebbe, quindi il napoletano "crisommole" ancora oggi usato per indicare le albicocche, e da cui sarebbero derivate, inoltre, le crisomele alessandrine, che ancora esistono nell'area vesuviana. Nel secolo scorso il testo ad opera di autori vari, "Breve ragguaglio dell'Agricoltura e Pastorizia del Regno di Napoli", del 1845, riconosce l"albicocco come l'albero più diffuso, dopo il fico, nell'area del napoletano, e precisamente in quella vesuviana. Evidentemente vi era già una discreta varietà di ecotipi che offrivano frutta diverse a seconda delle caratteristiche della varietà di appartenenza, di cui oggi si riconoscono oltre 40 nella sola area vesuviana.
Con il termine "albicocca Vesuviana" si indica un insieme di oltre quaranta diversi biotipi tutti originari dello stesso luogo. I più diffusi sono: Ceccona, Palummella, S. Castrese, Vitillo, Fracasso, Pellecchiella, Boccuccia Liscia, Boccuccia Spinosa e Portici. La coltivazione è attualmente estesa a tutto il territorio dell'area vesuviana, dove infatti è nota la particolare fertilità dei terreni, che, essendo di natura vulcanica, sono ricchi di minerali e in particolare di potassio, elemento noto per la sua influenza sulla qualità organolettica dei frutti e dei vegetali in genere, e che, in questo caso contribuisce a conferire alle albicocche un gradevole e caratteristico sapore. Data la variabilità degli elementi che caratterizzano le numerose varietà, si potrebbe generalizzare la loro descrizione definendole come varietà per la maggior parte a maturazione precoce e medio-precoce: si raccolgono verso metà giugno. Sono apprezzate sul mercato per le loro caratteristiche organolettiche, soprattutto per sapidità e dolcezza. Si distinguono dal punto di vista estetico per la presenza di un sovracolore rosso sfumato o punteggiato sulla base giallo-aranciata della buccia di una buona parte di esse.
Area di produzione
Il territorio interessato alla produzione è compreso nei seguenti comuni della provincia di Napoli: Boscotreale, Boscotrecase, Cercola, Ercolano, Massa di Somma, Ottaviano, Pollena Trocchia, Portici, S. Anastasia, San Giorgio a cremano, S. Sebastiano al Vesuvio, S. Giuseppe Vesuviano, Somma Vesuviana, Terzigno, Trecase, Torre Annunziata, Torre del Greco e Nola. La Campania è la regione più importante, nella coltivazione di albicocche, con quasi 50.000 tonnellate di prodotto, proveniente per la maggior parte dall'area vesuviana, che rappresenta circa l'80% della produzione regionale. Nell'area dei comuni vesuviani attualmente vi sono circa 2000 ettari di albicoccheti, con una produzione che in condizioni climatiche normali si dovrebbe attestare sui 400.000 quintali. La maggior parte è destinata al consumo fresco. Una quota variabile di anno in anno viene trasformata in nettari, ossia in succo e polpa, mentre una piccola parte viene trasformata in confetture, essiccati e canditi, e in ultimo una quota molto limitata è trasformata in prodotti surgelati e sciroppati.
Stato della registrazione
E' in procinto di organizzazione la riunione di pubblico accertamento, ultima fase dell'istruttoria ministeriale, in corso dal '99, per la registrazione quale indicazione geografica protetta (IGP), ai sensi del Reg. CEE 2081/92, prima della pubblicazione sulla GU della Repubblica Italiana.
MELA ANNURCA CAMPANA - ROSSA DEL SUD
Cenni storici
La sua raffigurazione nei dipinti rinvenuti negli scavi di Ercolano e in particolare nella Casa dei Cervi, testimonia l'antichissima legame dell'Annurca con la Campania felix. Luogo di origine sarebbe l'agro puteolano, come si desume dal "Naturalis Historia" di Plinio il Vecchio. Proprio per la provenienza da Pozzuoli, sede degli Inferi, Plinio la chiama "Mala Orcula" in quanto prodotta intorno all'Orco (gli Inferi). Anche Gian Battista della Porta nel "Suae Villae Pomarium", nel descrivere le mele che si producono a Pozzuoli riferisce come queste siano volgarmente dette orcole. Da qui i nomi anorcola e annorcola utilizzati successivamente fino a giungere al 1876 quando il nome "Annurca" compare ufficialmente nel Manuale di Arboricoltura di G. A. Pasquale.
Descrizione
Definita la "regina delle mele" soprattutto per la spiccata qualità, l'Annurca è famosa per la polpa croccante e compatta, gradevolmente acidula e profumata.
Rivendica da sempre virtù salutari: altamente nutritiva, ricca di fbre, frena la diarrea, diuretica, particolarmente adatta ai bambini.
Uno degli elementi di tipicità che certamente caratterizzano questa coltura è l'arrossamento a terra delle mele nei cosiddetti "melai", un tempo realizzati con strati di canapa, oggi sostituiti da altri materiali (aghi di pino, trucioli di legna, ecc.).
Le indubbie caratteristiche organolettiche di questa mela, apprezzate particolarmente dai consumatori campani e laziali, stanno progressivamente conquistando anche altri mercati, grazie anche all'ingresso nei canali della grande distribuzione organizzata.
I due ecotipi, la classica Annurca e la diretta discendente Annurca Rossa del Sud, suo mutante naturale date le comuni caratteristiche pomologiche, sono stati unificati sotto il titolo di Melannurca campana, sia pure con due distinte indicazioni varietali.
Areale di produzione
L'Annurca è coltivata in tutte le province campane anche se le aree tradizionalmente vocate ove si concentra la maggior parte della produzione sono: nel napoletano la Giuglianese-Flegrea, nel casertano la Maddalonese, l'Aversana e la Teanese e nel beneventano le Valli Caudina - Telesina e il Taburno.
Con 60.000 tonnellate medie annue, l'Annurca rappresenta il 60% circa della produzione regionale di mele e il 5% circa di quella nazionale.
Stato del riconoscimento
Nelle more del completamento dell'istruttoria comunitaria per la definitiva registrazione della "Melannurca Campana (IGP)", il MiPAF ha accordato, con DM del 27.04.2001, la protezione nazionale transitoria della denominazione.